Organizzare per la prima volta un’Expo dell’orticoltura in un paese del MENA (Medio Oriente, Nord Africa e Penisola araba, quasi 400 milioni di abitanti) era, per il Qatar, un punto d’onore. E c’è da dire che il piccolo stato si era messo d’impegno destinando all’Esposizione 80 ettari del parco Al Bidda nel centro di Doha, la capitale. La mostra si sarebbe dovuta tenere nel ‘21, ma l’emergenza Covid ha obbligato gli organizzatori a un rinvio. Poi, i mondiali di calcio programmati sempre in Qatar tra novembre e dicembre ‘22, hanno obbligato lo slittamento al ‘23.
L’Esposizione avrà un tema (“Green desert, better environment”, Deserto verde, ambiente migliore) che la dice lunga sui progetti, le novità e le applicazioni tecnologiche che il paese vuole mostrare per la rinascita di territori un tempo definiti “scatole di sabbia”. Gli Stati arabi hanno scelto proprio le grandi mostre internazionali per attirare visitatori e mostrare al mondo la loro strada verso il progresso. Lo sta facendo Dubai; è pronto il Qatar con i mondiali l’anno prossimo e l’orticoltura nel ‘23; mentre all’Expo del 2030 punta fortemente l’Arabia Saudita, il paese leader della penisola, centro riconosciuto del potere economico derivante dal petrolio, sede con La Mecca dell’islamismo nel mondo. A questo punto, gli osservatori internazionali cominciano a considerare diversamente questa organizzazione (il MENA, appunto) che raggruppa una ventina di paesi della fascia sud mediterranea, nord africana e mediorientale. Vi hanno aderito anche l’Iran e il Territorio palestinese. E per il criterio delle votazioni e delle scelte sugli stati e le città che dovranno ospitare le grandi Expo internazionali (uno stato, un voto), confrontarsi con paesi che possono contare in partenza su uno zoccolo duro di venti voti, è un elemento da tenere sempre in considerazione. E questo vale per Roma, che dovrà vedersela proprio con Riyadh se vorrà essere prescelta per organizzare l’Expo del 2030.