Grandi eventi e corruzione, Expo sotto tiro

Corrompere i vertici del Parlamento europeo per mettere a tacere le polemiche sulle condizioni di schiavitù riservate ai lavoratori in Qatar. È di queste ore la notizia di mazzette ed arresti disposti dopo la scoperta che Eva Kaili, vicepresidente greca del Parlamento, e un una gang di maneggioni italiani bene introdotti a Bruxelles sono stati finanziati per ammorbidire le critiche verso il paese che sta ospitando il campionato mondiale di calcio. Obiettivo degli sceicchi qatarioti era condizionare il giudizio degli organismi europei sulle stragi fra la manodopera asiatica addetta alla costruzione degli stadi.
Questo scandalo inquadra il “senso” della politica diplomatica del paese saudita in una luce che deve far riflettere. Come si riverbera sul prossimo grande evento internazionale – l’Expo 2030 – che verrà assegnato fra un anno e che vede come probabile vincente la candidatura di Riyad, capitale del Regno dell’Arabia Saudita? E quanto ci è costato finora organizzare, lanciare e sostenere la candidatura di Roma a ospitare l’Expo 2030? Elencare le spese per tutti i settori di intervento, i progetti di fattibilità, i filmati, i fondi del PNRR, i testimonial, le trasferte…non avrebbe senso se ci fosse in prospettiva una partita corretta con le altre città candidate. Ma ancora prima dei risultati, che verranno prodotti fra un anno dalle missioni esplorative internazionali, sappiamo già che sarà Riyad a ospitare Expo 2030.

Il principio del Bie (l’Ufficio internazionale delle Esposizioni) per il quale “una nazione, un voto” ha motivato il più ricco dei paesi arabi ad accaparrarsi in anticipo il favore di tanti stati. Non vogliamo dire che alla base di tutto ci sia stata corruzione; ma aiuta molto a capire la posizione di Emmanuel Macron, il quale ha promesso il proprio voto a Riyad “nell’ambito di un pacchetto più ampio di accordi militari e commerciali”. E il Regno dell’Arabia Saudita è riuscito a raccogliere – per iscritto e ufficialmente – 71 lettere di intenti a garanzia del voto a favore. Allora: i paesi del Bie sono 170, il che significa che ai sauditi basterà assicurarsi il favore di un’altra quindicina di Stati per raggiungere la maggioranza assoluta prima ancora del voto! Non per nulla ora pretende che le votazioni non si svolgano più a scrutinio segreto: con il voto palese, potrà controllare che gli accordi vengano rispettati da tutti gli Stati che li hanno sottoscritti.

A che serve allora l’attuale teatrino delle nostre 618 pagine del progetto globale per Roma? I sopralluoghi, gli studi di ingegneria, il “percorso verde” che dovrebbe accogliere al Colosseo i trenta milioni di visitatori e condurli a Tor Vergata, oltre il Raccordo anulare, attraverso il quadrante più disastrato dell’Urbe, fino al degrado peccaminoso delle “vele” di Calatrava? Ecco il punto: perché dobbiamo sottostare a questa beffa, continuando a partecipare a una partita truccata? All’inizio poteva essere un sogno e abbiamo accettato in buona fede di sederci al tavolo nella convinzione che le nostre credenziali (una Città Eterna, tre millenni di storia, cultura, arte, inclusione, accoglienza e tolleranza) fossero quelle giuste per vincere la scommessa – o almeno provarci. Ma adesso che esiste la certezza che stiamo partecipando a un gioco sporco, sinceramente: ma che ci restiamo a fare? Non sarebbe più dignitoso ritirarci, denunciare l’imbroglio, destinare forze-impegno-soldi (compresi quelli del PNRR…) a progetti di reale rigenerazione urbana?

Eur42 saltò per lo scoppio della seconda guerra mondiale. Quella del ‘30 svanisce per un altro tipo di conflitto: la sfacciata prepotenza dei petrodollari arabi. Milano 2015 fu un’Expo riuscita, dette al territorio e alla città una spinta di rinnovamento che dura tuttora. Dubai ha visto il nostro Padiglione esprimere idee, connessioni artistiche e genialità che tutti i paesi del mondo ci hanno dovuto riconoscere. A Osaka faremo ancora meglio perché nel nostro DNA espositivo abbiamo i punti fermi delle eccellenze e del Made in Italy.

E per il 2030? L’Ufficio per le esposizioni internazionali (Bie) dovrebbe prendere duramente posizione, escludendo Riyad perché non debbono essere i petrodollari alla base delle scelte. Tutti i paesi concorrenti dovrebbero avere le stesse possibilità, prescindendo dai soldi che possono promettere in cambio del voto. Ma una iniziativa del genere sarebbe la morte del Bie.

E se l’Italia si facesse dignitosamente da parte? Non accadrà, perché ci sono tanti altri interessi in bilico a livelli internazionali e conviene evidentemente “farci battere”, mettendo però sul tappeto altre trattative. È una sorta di “do ut des” e cioè: sosterremo fino in fondo la nostra candidatura perdente, ma voi sauditi veniteci incontro in quell’altra faccenda. Quale? Prima o dopo riusciremo a saperlo, ma sicuramente farà parte – per dirla alla Macron – di un “pacchetto più ampio”.

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