Ha già vinto Riyad!

I giochi sono praticamente finiti. L’Expo 2030 si svolgerà a Riyad, capitale dell’Arabia Saudita. La candidatura di Roma, unica seria avversaria del paese mediorientale, è crollata a fronte dell’annuncio che Ryad dispone di 71 lettere d’intenti da parte di altrettante nazioni del Bie, l’ufficio internazionale che gestisce i meccanismi delle grandi esposizioni universali.

Al Bie fanno capo i rappresentanti di 165 nazioni (o entità paranazionali) e la regola in tutte le votazioni é “un paese, un voto”. Questo, a proposito dell’Expo 2030, significa che se l’Arabia ha già 71 voti in carniere gliene mancano appena 12 (da racimolare fra i restanti 94) per raggiungere la maggioranza. Mettiamoci l’animo in pace. Anche perché c’è un esempio lampante e qualche banale considerazione per capire come andranno le cose.

L’esempio lampante: il presidente francese Emmanuel Macron non ha firmato alcuna lettera di intenti, ma ha promesso che il suo voto andrà a Riyad “nell’ambito di un pacchetto più ampio di accordi militari e commerciali”. Tradotto brutalmente: vendere armi, avere petrolio.

Le banali considerazioni: la stragrande maggioranza dei paesi membri del Bie non potrebbe mai ospitare un’Esposizione universale, evento che richiede credenziali notevoli, capacità di spesa, accoglienza, industrializzazione, cultura…E allora, finisce per vincere chi può “fare la spesa” alle bancarelle del Bie. Mohammed Bin Salman dispone di un patrimonio cash di 50 miliardi di dollari. Ma non deve nemmeno distribuire bustarelle (come hanno fatto i cugini del Qatar per ottenere i Mondiali di calcio). Gli basta promettere petrolio, strade, edilizia a nazioni boccheggianti: e coi leader di quelle più industrializzate o evolute, avviare trattative per comprare armi o vendere petrolio a buon prezzo. Come recita un proverbio popolare, “articolo quinto, chi ha i soldi ha vinto”…

In tutto questo indecoroso quadruccio del terzo millennio, come si colloca la nostra Città Eterna? Abbiamo presentato una candidatura sostanzialmente positiva perché sullo sfondo c’era pur sempre Roma e la sua storia imperiale e artistica, culturale e inclusiva. L’idea-base (rigenerare con l’Expo un quadrante degradato della città) convinceva fino a un certo punto: da far rinascere non ci sarebbero stati solo “Persone e territori”, ma tante mentalità di fondo davvero dure a morire. La mancanza di rispetto per la “cosa comune”, il menefreghismo, l’assuefazione becera al sopruso edilizio e stradale, il clientelismo, la piccola e grande criminalità che nuota e germoglia nel degrado complessivo della Capitale.

L’Expo poteva essere l’ultima spiaggia per combattere l’invivibilità quotidiana. Tante persone hanno creduto alla candidatura e alla scommessa di portarla avanti. Ma accanto alle mosse giuste, alle persone competenti, si sono registrate cadute di tono, interessi palazzinari, visioni utopistiche inconciliabili con un percorso così difficile quando in campo scende un avversario che diventa imbattibile: non ha limiti di spesa; l’ambiente da salvaguardare è la sabbia (noi abbiamo le Mura secolari di Roma, tanto per dire…); può costruire tutto (già avviati i lavori per The Line, una città per nove milioni di abitanti, lunga 170 chilometri e larga 200 metri!) senza alcun vincolo ambientale o energetico; può comprarsi diplomaticamente l’appoggio di qualsiasi paese al mondo, ignorando criteri di rotazione nell’assegnazione degli eventi mondiali; può far salire sul proprio carro vincente anche personaggi politici dei paesi “avversari”; se ne frega del rispetto di tutti i diritti umani e dell’inclusività

Non dobbiamo lottare scendendo a questi livelli. Rassegniamoci con onore alla sconfitta, salvaguardando cultura e dignità. In primavera verranno in città i commissari per un giro di ispezione e controllo che servirà – dicono – a valutare la fattibilità delle candidature. Chiacchiere. Questi commissari hanno già votato, consegnando all’Arabia lettere d’intenti che garantiscono il loro appoggio che prescinde da temi, tempi e progetti. Contano soltanto le utilità promesse da Riyad soprattutto alla “sporca dozzina” di paesi ancora in trattative per vendere il proprio appoggio (non per niente l’Arabia ha chiesto il voto palese e non più segreto).

Fra un anno ci sarà la votazione finale. Questo sito resisterà fino ad allora: per raccontare il sogno infranto di un’Expo nella Città Eterna e il ritrovato decoro con cui, anche se a malincuore, ne saremo usciti.

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