Ci vorrebbe un miracolo (come l’Expo a Roma nel 2030!)

All’Expo in corso a Dubai si arriva con la metropolitana, tutta sopraelevata. È il capolinea della linea rossa, collegato ai vari punti dei centri cittadini. I convogli sfrecciano tra i grattacieli, sono a guida autonoma e remota. Hanno anche una “prima classe” con poltrone eleganti e un vagone riservato esclusivamente alle donne e ai bambini piccoli, con appositi spazi per le carrozzine. Difficile immaginare qualcosa di simile a Roma fra otto anni. Ma è questa la scommessa. E il Governo ha deciso che ne vale la pena. Solo per la presentazione dei dossier della candidatura, nella legge di bilancio sono previsti già 15 milioni, dieci da spendere nel 2022 e altri cinque l’anno dopo, quando verrà proclamata la città vincitrice.

A quel punto, se fosse Roma a spuntarla, in sette anni si dovrebbe sistemare tutto. Compresa l’efficienza delle scale mobili di Metroroma, la raccolta dei rifiuti, le buche nelle strade, l’illuminazione, i parcheggi, le scritte dei vandali sui muri. Ma soprattutto la vita di chi abita queste periferie, il loro lavoro, il tempo libero, l’impegno sociale, scuole degne di questo nome, sicurezza e benessere diffuso. Diciamocelo francamente: un sogno. I 45 miliardi del volume complessivo degli affari che porterebbe l’Expo a Roma potrebbero non bastare se non cambia radicalmente la mentalità della gente, se non tornano senso e rispetto della “cosa pubblica”. Si parla però di 200 mila nuovi posti di lavoro, un’opportunità unica. La metà di questi impieghi rimarrebbero anche a conclusione della mostra. Una simile occasione non ricapiterà più. Bisogna credere a questo miracolo.

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