Per la prima volta nella storia delle Esposizioni Universali un padiglione ha ottenuto una certificazione di sostenibilità. Questo riconoscimento è andato all’Italia e costituisce da subito l’asticella con la quale dovranno confrontarsi in futuro i paesi espositori. Quindi, già a Osaka nel ‘25 e a Roma nel 2030 (sempre che sia la Città Eterna a essere prescelta) tutti i padiglioni dovranno adeguarsi ai principi di sostenibilità del Padiglione Italia a Dubai, principi che hanno riguardato inclusività, integrità, trasparenza e gestione responsabile. In pratica, l’intero “ciclo vitale” ha ottenuto il riconoscimento per avere rispettato i criteri della norma UNI ISO20121. Per il ministro delle Infrastrutture e mobilità Enrico Giovannini, si tratta di “una grande lezione e un esempio, anche per le organizzazioni future e per l’Expo 2030”.
La sostenibilità del nostro padiglione, oltre a premiare innovazione e made in Italy, si è basata sull’utilizzazione di materiali organici e interamente riciclabili come il micelio, i fondi di caffè e le bucce d’arancia. Anche la copertura del tetto, realizzata con gli scafi di tre grandi barche, rientra nel concetto del “riciclabile”, tant’è che queste navi (che anche visivamente rappresentano il tricolore) potranno prendere il mare. Insomma, abbiamo fatto davvero una bella figura e soprattutto abbiamo posto un traguardo che in futuro tutti i paesi espositori dovranno raggiungere. Sotto questo profilo RomExpo 2030 ha già lanciato la scommessa: padiglioni sostenibili e materiali riciclabili. Niente cattedrali nel deserto e spese enormi per smaltire strutture che, dopo l’esposizione, non servono a niente. Persone, territorio e rigenerazione urbana è lo slogan prescelto per la nostra candidatura. Ma sottintesa – a questa punto – c’è un’altra “mission”: la sostenibilità ambientale.