La torre-icona dell’Expo? Alta il doppio del Colosseo

Ecco come sarebbe l’Expo a Roma nel 2030. Lo svela in un video il masterplan contenuto nelle 618 pagine consegnate all’Ufficio internazionale delle esposizioni (Bie) di Parigi lo scorso novembre. La novità più rilevante è la creazione del parco solare urbano più grande del mondo. Un’area di 150 mila metri quadrati con una capacità produttiva di picco di 36 megawatt. Sarà formato da centinaia di “alberi energetici” che nell’arco della giornata si aprono per immagazzinare l’energia solare e tenere all’ombra i visitatori; e di notte si richiudono come un ombrello. A completare il grande mosaico ci sarà il padiglione “Eco-system 0.0”, l’edificio più alto dell’Expo, che fornisce il raffreddamento attraverso l’evaporazione.
Il riferimento dovrebbe riguardare l’enorme torre, simile a quelle delle centrali nucleari, che produrrà tanto fumo (in realtà innocuo vapore acqueo) da essere visibile a chilometri e chilometri di lontananza.

Considerando che la Vela incompiuta di Calatrava è alta 75 metri, possiamo presumere che questa torre fumogena – alta il doppio del Colosseo, 48 metri – è destinata a diventare un’icona imbarazzante della Expo che verrà. A proposito della Vela, il masterplan prevede di riqualificare l’opera (incompleta e già costata più di mezzo miliardo) e destinarla a “eventi pubblici”. La struttura sarà il biglietto da visita dell’Esposizione perché vicina all’ingresso principale e punto di arrivo del lungo “corridoio verde” ideato per collegare la zona di Tor Vergata ai Fori Imperiali, attraverso l’Appia Antica (una dozzina di chilometri, almeno; da percorrere a piedi o in bicicletta). Un tragitto storico, culturale e archeologico, punteggiato da “esperienze di conoscenza e condivisione differenti”.

Le previsioni per un’Expo 2030 nella Città Eterna parlano di 30 milioni di visitatori nei sei mesi di apertura, per un valore stimato di oltre 50 miliardi di euro, vale a dire quattro punti del Pil nazionale. Ci sarebbero 300 mila nuovi posti di lavoro grazie alla nascita di 11 mila nuove aziende. Tutto -vo quasi tutto – molto bello e stimolante. Peccato che stiamo facendo i conti senza l’oste, che nel caso specifico si chiama Riyad, la capitale del Regno dell’Arabia Saudita, concorrente fin troppo quotato per l’aggiudicazione della grande manifestazione internazionale. Gli emiri hanno già le promesse scritte di essere prescelti da 71 delle nazioni votanti. E, con la montagna di petrodollari che sono disposti a investire, sarà dura riuscire a spuntarla. Il sindaco Roberto Gualtieri ha provato a contrastarne lo strapotere, parlando apertamente di voto di scambio in riferimento ai “sostegni” garantiti da Riyad agli stati amici; contrapponendo alle condizioni di lavoro che in Arabia sono riservate ai lavoratori al nostro patto già sottoscritto con i sindacati; la sostenibilità del nostro progetto di rigenerazione urbana alle loro cattedrali nel deserto. Purtroppo, l’attuale scandalo generato a Bruxelles dalla corruzione dei “compagni di merende” italiani mette in cattiva luce molti aspetti delle nostre buone intenzioni…

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