Al voto. Si vince solo su autogol di Riyad

Basta, i giochi sono fatti, martedì si decide. Tutti i pronostici per l’assegnazione dell’Expo 2030 danno favorita Riyad, la presidente Meloni ha deciso che non andrà a Parigi per le votazioni. Se c’è ancora un dubbio riguarda soltanto la vittoria dei sauditi: arriverà già alla prima votazione o bisognerà aspettare il ballottaggio? Il meccanismo è abbastanza semplice: tre le città candidate (l’araba Riyad, l’italiana Roma, la sudcoreana Busan); 182 gli Stati votanti secondo il principio “un paese, un voto”; se nessuna delle candidate raggiunge al primo turno i due terzi (121) delle preferenze, vanno al ballottaggio le due città più votate. I sauditi hanno fatto una campagna senza badare a spese e puntando molto sui piccoli stati (quelli che alla fine fanno numero) e sulla scontata solidarietà musulmana. Roma ha puntato su sé stessa, Capitale con tremila anni di storia, massimo centro mondiale dell’arte, dell’accoglienza, della storia occidentale. Non dovrebbe esserci confronto con nessun’altra città del pianeta. Busan è un grande porto asiatico e basta, difficile che superi una trentina di voti. Roma può contarne su una sessantina. Tutto gli altri andranno a Riyad e non dovrebbero bastare per chiudere la partita. Quindi, il pronostico dice ballottaggio Italia-Arabia saudita. Ma il voto è segreto e chissà non arrivi qualche imprevisto. Vediamo e le ragioni.

Il conflitto in corso a Gaza non favorisce nessuno stato arabo, un’Expo ha assolutamente bisogno di pace e sicurezza. Sono tornate in stallo le trattative dei sauditi con Israele e le turbolenze che provoca il terrorismo di Hamas rischiano di ripercuotersi in tutta l’area di cui Bin Salman vuole proporsi come coordinatore e guida. La concentrazione poi di così numerosi grandi eventi lascia a bocca asciutta nazioni africane e del sud est asiatico, che potrebbero “punire” Riyad per questa forma di accaparramento esagerato che agli altri paesi – che pure appoggiano i regnanti sauditi – non lascia che poche briciole. Il trattamento sociale che Riyad riserva agli immigrati del terzo mondo che vi si trasferiscono per lavoro, non è rimasto senza strascichi. Come pure la considerazione e la collocazione dell’universo femminile ancora molto lontano dagli standard di paesi, almeno in questo settore, sicuramente più progrediti.

Infine, gli endorsement che sono pervenuti alla candidatura di Roma (il Brasile, gli USA, il Papa) hanno rimesso in discussione un confronto Roma-Riyad che obiettivamente nemmeno si pone, se mettiamo da parte interessi economici, promesse e vantaggi materiali. E – perché no? – fascino e bellezza. Forse dovevamo giocarcela meglio: far capire a tutti i paesi meno ricchi (che sono la stragrande maggioranza) che il progresso non di raggiunge con i petrodollari a pioggia; bensì col rispetto dei diritti civili, con la cultura, l’inclusione degli altri anche se diversi come storia, sesso o religione. Il guaio è stato che, anche sotto molti di questi profili, noi non possiamo presentarci come attuali paladini. E lo abbiamo dimostrato con una serie di promozioni bislacche, campagne stampa inconcludenti, destinate in gran parte a compiacere chi era già dalla nostra parte, piuttosto che a conquistare gli incerti. E potrebbero essere loro – ultima spes – a ribaltare un verdetto che oggi, alla vigilia delle votazioni finali, vede sulla bilancia il peso della sciabola e della frase scritta sulla verde bandiera saudita: “Non c’è altro Dio che Allah”.

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