Expo, ci siamo arresi?

Il 28 novembre ci sarà a Parigi la votazione dei 179 membri del Bie per scegliere la città che dovrà ospitare l’edizione del 2030 dell’Esposizione universale. Siamo praticamente al rush finale e, secondo tutti gli analisti, il duello si è ridotto a due soli contendenti: Roma e Rijad. Con la capitale saudita in netto vantaggio.

Gli arabi già da sei mesi cantano vittoria, sostenendo di avere già conquistato i due terzi degli elettori (un paese un voto, questa è la regola). La prassi vuole che tutte le città candidate siano in lizza: dopo il ritiro di Odessa ne sono rimaste tre, ma la sudcoreana Busan sembra fuori gioco da tempo e uscirà di scena come ultima in classifica nella prima votazione. Si dovrebbe andare quindi al ballottaggio Roma-Rijad. A meno che una delle due già alla prima votazione non ottenga i due terzi dei voti. Traguardo che i regnanti sauditi sono sicuri di avere raggiunto. Da cosa deriva questa certezza, non è palese; ma ci vuole poco a dedurlo. Per esempio, prendiamo la Francia. Il presidente Emmanuel Macron non ha avuto remore a dichiarare pubblicamente che voterà per la candidatura saudita, dal momento che questa decisione “fa parte di un pacchetto più ampio”. Detto fuori dai denti e senza un minimo di vergogna, “petrodollari contro armamenti”. Accordi diplomatico-commerciali in cui è stato fatto rientrare anche il voto francese pro-Rijad.

Inutile scandalizzarsi più di tanto, così vanno le cose quando si tratta di scegliere i paesi ospitanti i grandi eventi mondiali: alla base dei voti ci sono sempre contratti, favori, scambi di opportunità. Spesso semplici offerte che i piccoli staterelli (che sono la maggioranza dei votanti) accettano di buon grado: la costruzione di una pista aerea, di una diga, di un impianto green. Non di rado, si scopre che una bella “mazzetta” al delegato di un paese votante del Terzo mondo è stata alla base della scelta.

Doveva l’Italia contrastare la strapotenza saudita adottando questa tattica? Certo che no (oltre tutto, non ne avremmo avuto i mezzi). Per convincere i paesi votanti abbiamo speso l’idea culturale, storica, artistica e inclusiva di questa Roma, Città Eterna che propone di rigenerarsi.

Diciamo pure che non è bastato. Forse non si è interpretato bene un concetto di fondo: la stragrande maggioranza dei paesi votanti non sarà mai in grado di ospitare un’Expo. E quindi la scelta con il voto del prossimo 28 novembre sarà una occasione semplice per ottenere un vantaggio, quale che sia. E noi non siamo stati capaci di “metterci la faccia”. Avremmo dovuto dire: “Votate per Roma non solo perché la città lo merita e vi rappresenta da duemila anni con i suoi valori di civiltà, progresso e diritti civili; ma anche perché libertà, indipendenza e istruzione non aumenteranno per un finanziamento a fondo perduto o per qualche aereo da combattimento…”.

E poi: l’apprezzamento del Brasile e degli Stati Uniti, quello scontato di Papa Francesco, che eco hanno avuto a livello internazionale? Siamo stati capaci o no di far capire all’estero queste scelte e il valore di simili “testimonial” (a parte quello – imbarazzante – del ”gladiatore” Russel Crowe)? L’unico  Il sito ufficiale è fermo allo show parigino del giugno scorso. Quello già striminzito su Facebook si limita a rilanciare vecchi spot della fallimentare campagna Humanlands. Mentre i lavori per la nuova sede del Comitato promotore (palazzo con affaccio su Fontana di Trevi, un milione e 800 mila euro per la sola ristrutturazione) saranno finiti a gennaio 2024. Peccato che la decisione ci sarà questo novembre…

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