Expo, facciamo il punto

Il prossimo 28 novembre, fra quattro mesi, i 179 paesi aderenti al Bie sceglieranno la nazione e quindi la città che avrà il compito di organizzare l’Esposizione universale del 2030. Tre le candidate rimaste in corsa, con Arabia Saudita nettamente in testa e Corea del sud fanalino di coda. E l’Italia? La candidatura di Roma era perdente fino a qualche giorno fa, inutile girarci intorno. Eccellente l’idea della Città Eterna, molto buono il progetto, scarsi alcuni particolari ma rimediabili, imbarazzante la strategia messa in campo per vincere la partita. Per battere un colosso come quello saudita, che non ha limiti di spesa, né conflitti interni, che può contare sull’appoggio del mondo islamico e di molti paesi che si vendono il voto a favore per pochi spiccioli, era inutile sbandierare storia, arte, cultura, inclusione.

Finalmente l’abbiamo capito, quella in corso non è una partita di scacchi; contro chi gioca un po’ sporco, è meglio un faccia a faccia brutale. Noi, l’Italia, Roma siamo l’Occidente. Con la nostra cultura millenaria, il nostro concetto di uguaglianza, il rispetto delle minoranze. La democrazia. Con le sbavature e i limiti del concetto, interpretato in modi diversi. Ma con un sostanziale principio di libertà e tradizioni che in Arabia se lo sognano.

Fossimo stati solo noi a dirlo e a impostare lo sprint finale su questi argomenti, potevamo pure rassegnarci all’inevitabile sconfitta. E invece ecco il ribaltone.

Prima il Vaticano, poi gli Stati Uniti si sono apertamente schierati a nostro favore. Il Papa e il presidente Usa hanno pubblicamente appoggiato la nostra candidatura, esaltando proprio quei valori che Roma possiede e rilancia da tremila anni e che Ryad nemmeno conosce. Non siamo alla guerra di religione, all’adunata della Nato, al grido “Vincere, e vinceremo!”. Ma questo schierarsi a nostro favore ha il valore di un richiamo all’ordine per tutti i 179 paesi che andranno a depositare, nel segreto dell’urna, il voto finale. Noi, siamo il rispetto delle regole, dei diritti civii, delle minoranze; tutti uguali, senza distinzioni di razza, di sesso o di religione. Questi valori sono le cose che contano, che possono condurre allo sviluppo e all’uguaglianza dei popoli. Fate una scelta di progresso e civiltà.

Finalmente è questo il messaggio che siamo riusciti a lanciare ai paesi dell’Ufficio Internazionale delle Esposizioni, prima della votazione finale di Parigi. Dove lo stesso sindaco si è detto contrario alla posizione del presidente Macron, schierato con i sauditi “nell’ambito di un pacchetto più ampio” (petrodollari in cambio di voto e armamenti).

Adesso, Governo e Comitato dovranno battere questa strada, senza appoggiare iniziative inutili e costose. Occorre una politica che punti ai voti degli altri. Sponsorizzare la tappa del Giro d’Italia a Roma avrà indotto – tanto per fare un esempio – il Gabon a scegliere noi invece di Ryad? L’impegnativa “campagna di promozione” Humanlands che frutti ha portato dall’estero? Quanti paesi abbiamo convinto a votare per noi con l’esibizione, “nella prestigiosa sede settecentesca” dell’ambasciata italiana, della cantante Elisa, di 50 ballerini e del producer Dardust? Senza contare l’autogol della mostra di 22 scatti fotografici al Carrousel du Louvre (“Rome, l’eternelle”) per propagandare “una visione suggestiva di Roma”: in Francia, dove il presidente ha già detto che voterà Ryad?

Occorre insomma cambiare passo, adeguare spese e obiettivi a un’altra “visione”, perché adesso è diverso il confronto. Anche nelle piccole cose. Tipo il “sito ufficiale” del Comitato, fermo al 20 giugno. E dire che, nel frattempo, qualche nuova notizia da pubblicare c’è stata…

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