Ma non è meglio il ritiro?

È da marzo che lo stiamo dicendo. Eppure, che l’Arabia Saudita stesse raccogliendo – col tintinnio dei petrodollari – un numero in frenetico aumento di adesioni alla candidatura di Ryad, era sotto gli occhi di tutti. Eccetto quelli del comitato per RomExpo 2030. Che hanno continuato il balletto delle festicciole, lo spettacolo dei droni di notte al Colosseo, la sponsorizzazione del Giro d’Italia, gli slogan bislacchi del ministero del Turismo (“Open to meraviglia”…).

E adesso eccoci qua: i regnanti sauditi fanno sapere di avere raggiunto quota 120. Vale a dire, hanno la promessa (non certo la garanzia assoluta) dei due terzi dei paesi votanti, che sono 179 (una nazione, un voto). Questo significa che il 28 novembre, quando a Parigi ci sarà l’assemblea per decidere la nazione che ospiterà l’Esposizione universale del 2030, Ryad potrebbe vincere al primo colpo.

La regola dice infatti che, con due terzi dei voti, l’assegnazione sarà automatica. Altrimenti verrà eliminata l’ultima città candidata e si ritorna alle urne. Essendo tre i paesi in lizza (c’è solo la Corea del Sud a intromettersi fra italiani e sauditi), si finirebbe con una sorta di spareggio in cui sinceramente non avremmo chances. Oggi possiamo contare su 30-40 voti che, in caso di testa a testa, potrebbero anche arrivare a 60. Una soglia che alla prima votazione consentirebbe di non chiudere lì il discorso. Ma nel confronto finale, saremmo ampiamente perdenti.

Questa è oggi la realtà di Expo 2030. Siamo fermi al mese scorso, allo spettacolo di cori, balletti, canzoni e fontane artificiali che si è tenuto “nella prestigiosa sede settecentesca” dell’ambasciata italiana a Parigi. Nel frattempo, gli sceicchi impiegavano parte degli otto miliardi – stanziati per promuovere l’Expo a casa loro – in benefit, contratti per agevolare progetti di sviluppo in paesi del terzo mondo (la maggioranza dei votanti). Tanto per tornare a un vecchio esempio: la Francia ha garantito pubblicamente il voto a Ryad e il presidente Macron non ha avuto nessuna remora a spiegare perché darà il voti ai sauditi e non agli italiani: “Fa parte di un pacchetto più ampio”. E tutti sanno che si sta parlando di armamenti e petrodollari.
Non è mai stato un arcano che queste “competizioni” si vincano compiacendo i votanti. Gli ultimi mondiali di calcio disputati in Qatar nel ‘22 lo hanno dimostrato. E l’Arabia Saudita che concorreva a quelli del 2030, che aveva assunto Ronaldo come ambasciatore dell’iniziativa con un contratto settennale, vi ha rinunciato puntando tutto sull’Expo. Sanno di avere la vittoria in tasca.

Sarebbe auspicabile, a questo punto, annunciare che Roma si ritira perché lo spirito e il criterio dell’Expo è stato stravolto: non servono più arte, cultura, storia, progetti e tradizioni. Non valgono più i concetti di inclusione, accoglienza, rispetto di tutti i diritti, bellezza e “meraviglia”. Se il criterio di assegnazione diventa la potenza economica, è inutile continuare in questa farsa. Oltre tutto, molto costosa per noi.

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